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Criminalità organizzata: legittimo il no al vitalizio per le famiglie legate ai clan

Per quanto riguarda il caso in questione, la risposta del giudice di Napoli Barbara Gargia, è quasi scontata per quanto giusta.
È il caso dell’avvocato Giovanni Zara, appartenente al foro di Napoli, e difensore dei familiari di Paolo Coviello, quest’ultimo ucciso insieme a Pasquale Pagano nel 1992 dal clan dei Casalesi per un errore di persona.
A essere messa in dubbio è la costituzionalità di quanto previsto dall’art. 2, comma 21, della Legge n. 94 del 2009, la quale vieta al ministero dell’Interno di concedere il vitalizio ai familiari delle vittime della criminalità organizzata quando, nei confronti di qualche parente compreso nel quarto grado di parentela, sia in corso un procedimento penale, o solo di prevenzione, per mafia.
La norma in questione viene contestata nel momento in cui il processo penale va a evidenziare sì la non appartenenza delle due vittime ad alcun tipo di clan, quindi il loro essere vittime innocenti in tutto e per tutto, ma viene confermata la non concessione dell’elargizione richiesta dai figli di Coviello. La causa di ciò è una parentela, entro il quarto grado, con soggetti vicini al clan.
L’illegittimità della norma, secondo l’avvocato Zara, riguarda i seguenti articoli della Costituzione:

  • art. 3: principio di eguaglianza;
  • art. 27: principio della responsabilità penale personale;
  • art. 97: principio del buon andamento della Pubblica Amministrazione.

Si deve poi anche considerare il contesto di applicazione. In molte piccole comunità del Sud Italia, dove la criminalità organizzata è radicata molto in profondità, la semplice parentela, in quanto caratteristica che la persona non può scegliere, non può essere un ostacolo giuridico che impedisce a individui innocenti di ricevere un beneficio di legge previsto nel caso rimangano vittime di eventi di sangue. In questo modo si andrebbero a creare vittime di serie A e vittime di serie B.
Il giudice non è entrato nel merito di tale considerazione, ma ha ribadito il fatto che la norma è utile in quanto pensata per evitare che i soldi tornino in ambienti vicini alla criminalità. «È molto difficile,» ha poi aggiunto, «raggiungere la prova positiva della predetta estraneità ad ambienti delinquenziali da parte delle vittime», vista anche la struttura “parafamiliare” con la quale si organizzano le cosche.
I requisiti posti dallo Stato, poi, sono ragionevoli in quanto tali: si tratta dell’elargizione di un diritto soggettivo, per la quale non vi è alcun limite al momento in cui vengono stabiliti i requisiti per accedervi.
 

Fonte: Ansa.it
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