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Dignità e decoro per la donna. Corte d’appello di Genova, sentenza n. 106 del 12.10.2017

Il difetto di uno specifico contenuto normativo della nozione di adeguatezza dei mezzi di cui all’art. 5 della L. n. 898/70, ha reso necessaria l’individuazione, da parte della Giurisprudenza, di un parametro da seguire per la liquidazione dell’assegno divorzile.
Come noto, la Corte di Cassazione, con la Sentenza del 10 maggio 2017 n. 11504, pronunciata dalla I Sez. Civile, ha superato un orientamento consolidato, seguito dagli Ermellini per circa 27 anni, che per l’individuazione del an debeatur dell’assegno divorzile, utilizzava il criterio del tenore di vita analogo a quello goduto dal coniuge economicamente più debole, in costanza di rapporto di coniugio.
Il nuovo principio introdotto dalla Corte, in forza del quale ha negato, nel caso di specie, il contributo al mantenimento muliebre, è quello dell’autosufficienza o auto responsabilità economica, penalizzante le c.d. rendite parassitarie delle quali godono le mogli che, dopo pochi anni di coniugio, chiedono lo scioglimento del matrimonio ed un sostanzioso assegno di mantenimento che, a causa della rilevante sproporzione tra le situazioni economico-patrimoniali dei Coniugi, tende a permanere per il resto della vita.
Benché la Suprema Corte abbia individuato i principali indici della sussistenza dell’indipendenza economica del coniuge richiedente nel: 1) possesso di redditi di qualsiasi specie, 2) possesso di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari, 3) capacità e possibilità effettive di lavoro personale, 4) stabile disponibilità di una casa di abitazione, le Corti di merito si sono addentrate, necessariamente, nell’applicazione concreta di questo nuovo parametro pervenendo ad interpretazioni anche diametralmente opposte.
Alcuni Tribunali, come quello di Milano (cfr. Ord. Sez. IX civ. 22/5/17) hanno introdotto una linea alquanto severa configurando il difetto di indipendenza economica quando gli introiti, dei quali dispone il coniuge richiedente, non superino quelli richiesti per accedere al patrocinio a spese dello stato (ad oggi nella misura di € 11.528,41).
Altri, come il Tribunale di Udine, sez. I civ. 1° giugno 2017, più generosamente, discostandosi nettamente dall’arresto della Cassazione hanno, addirittura, ritenuto di riconoscere un contributo al mantenimento in favore del coniuge richiedente, sulla base del tenore di vita goduto durante la vita matrimoniale.
In questo contesto si colloca la Sentenza della Corte d’appello di Genova del 12 ottobre 2017 n. 106 (Cons. rel. F. Davini). La Corte seguendo un criterio, pure dettato dai Giudici di Piazza Cavour, che impone l’attenzione anche «a tutti gli oneri latu sensu “imposti” e del costo della vita nel luogo di residenza (dimora abituale: art. 43, II c. c.c.) della persona che richiede l’assegno» in forza, altresì, del riconoscimento del decoro derivante dal suo ruolo di moglie, madre e non ultimo da quello professionale, benché la moglie fosse dotata di reddito, cespiti ed occupante la casa familiare di proprietà del marito, ha riconosciuto il diritto al di lei mantenimento, concordato in sede di separazione e rinnovato in sede divorzile.
Una sentenza, quella genovese, che, pur escludendo, sulla scia del recente orientamento della Suprema Corte, un’indebita, per così dire, “ultrattivitá” del vincolo matrimoniale, restituisce dignità e decoro a quelle donne che lavorano, sono mogli e madri e salvaguarda e riconosce i diritti della persona e della vita umana, in linea anche con i dettati normativi internazionali vigenti.

Via Assarotti 1, Genova.
Tel: 010-8313041

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