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La collazione

Nella sentenza n. 668/2017 del Tribunale di Pavia, gli attori chiedono che sia riconosciuto l’animus donandi nell’assicurazione sulla vita fatta a favore della convenuta, nonché  la conseguente collazione nell’asse ereditario.
A norma dell’art. 737 del c.c. il coniuge, i figli e i loro sono discendenti sono obbligati a conferire nell’asse ereditario le donazioni ricevute in vita dal de cuius.
Non tutto però deve essere restituito, in particolare ex art. 742 c.c. «non sono soggette a collazione le spese di mantenimento e di educazione e quelle sostenute per la malattia, né quelle ordinarie fatte per abbigliamento o nozze».
Sembrerebbe quindi che la richiesta degli attori debba essere accolta. In realtà, più che l’animus donandi, bisogna osservare quanto stabilisce l’art. 1920 c.c.: «è valida la assicurazione sulla vita a favore di un terzo. Essa può essere fatta  anche nel testamento e fa acquisire al terzo un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione».
Ne deriva quindi che nulla può essere chiesto al beneficiario, se non la restituzione del solo premio assicurativo ex art. 741 c.c.
Il tenore letterale della disciplina è incontestabile, riguardando quanto ricevuto in vita dal de cuius, ma nella sostanza sembra essere null’altro che un escamotage legalizzato.

Leggi il testo integrale – Tribunale di Pavia, sentenza n. 668/2017

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Michel Simion

Dottore in Giurisprudenza, Università degli Studi di Verona. Tesi in diritto costituzionale giapponese, appassionato di letteratura asiatica.

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