Civile

La responsabilità sugli sci

Le piste da sci oltre che essere teatro di momenti di spensieratezza invernale sono il luogo in cui scaturiscono diverse possibili responsabilità dei diversi protagonisti. Qui analizzeremo:

a) quella dei gestori degli impianti e delle piste, sia nella fase di risalita che in quella di discesa;
b) quella del maestro e più in generale della scuola di sci.

Anzitutto, quando si affronta il tema degli sport invernali non si può fare a meno di ricordare che è solo dal 2003, con la legge 363/2003, che esiste una regolamentazione nazionale della materia: fino a quel momento infatti c’erano da un lato alcune leggi regionali, e dall’altro il cd. “Decalogo dello sciatore” (ovvero, le “Regole per la condotta dello sciatore”) che fu approvato nel maggio 1967 dal comitato giuridico della F.I.S. (Federazione Internazionale Sci).
Le finalità della legge 363/03 vennero esplicitate nell’articolo 1, secondo cui La presente legge detta norme in materia di sicurezza nella pratica non agonistica degli sport invernali da discesa e da fondo, compresi i principi fondamentali per la gestione in sicurezza delle aree sciabili, favorendo lo sviluppo delle attività economiche nelle località montane, nel quadro di una crescente attenzione per la tutela dell’ambiente”, prevedendo poi un capo, il secondo, dedicato alla disciplina delle aree attrezzate, e un altro, il terzo, a regolamentare il comportamento degli sciatori.
Peraltro, molti aspetti sono rimasti fuori dalla normativa, e rimangono di appannaggio di dottrina e giurisprudenza.

La responsabilità del gestore degli impianti

L’art. 4 della legge 363/03 (dall’eloquente titolo: “Responsabilità civile dei gestori”) afferma la responsabilità in capo ai gestori delle aree sciabili attrezzate “della regolarità e della sicurezza dell’esercizio delle piste”.
Data la formulazione normativa non è però affatto chiara la natura di tale responsabilità, considerato che anche in precedenza vi sono state almeno quattro diversi filoni dottrinali e giurisprudenziali, che hanno inquadrato tale responsabilità, alternativamente:
1) nella responsabilità aquiliana, art. 2043 c.c.;
2) nella responsabilità per esercizio di attività pericolose, art. 2050 c.c.;
3) nella responsabilità da cosa in custodia, art. 2051 c.c.;
4) nella responsabilità contrattuale.
Peraltro la natura della responsabilità è stata anche distinta tra la fase di risalita e la fase di discesa ed è da questa distinzione che vale la pena cominciare.
a) Relativamente alla fase di trasporto è oramai pacifica da trent’anni la natura contrattuale del rapporto che lega lo sciatore con il gestore dell’impianto, e generalmente (con qualche eccezione, nel senso di attenuamento dell’inversione dell’onere probatorio, per quel che concerne le ipotesi di trasporto avvenuto con lo skilift, che peraltro essendo il mezzo storicamente più vecchio e, diversamente dalla seggiovia, che necessita di una minima attività dello sciatore ha faticato un po’ a esserne ricompreso) ricondotta nell’alveo dell’art. 1681 c.c., ovvero del contratto di trasporto.
In particolare, per come è stato interpretato dalla Cassazione (cfr. Cass. Civ. n. 4607 del 1997), la norma deve ritenersi applicabile sino al momento in cui cessano gli effetti residui del moto impresso al trasportato dal mezzo. Va anche detto che spesso, soprattutto da parte dei giudici di merito, come elemento decisivo nell’affermazione della responsabilità in capo al gestore si è fatto riferimento al mancato arresto dell’impianto da parte del personale addetto allo stesso.
E d’altra parte, anche nelle stra-note e ultra-commentate sentenze di San Martino le Sezioni Unite hanno ricompreso espressamente il contratto di trasporto tra i cd. contratti di protezione (si veda il capo. 4.6 della n. 26972/08: “Quanto al contratto di trasporto, la tutela dell’integrità fisica del trasportato è compresa tra le obbligazioni del vettore, che risponde dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il viaggio”).
Sono state mosse alcune critiche a questa impostazione (tra le altre SIEFT, La responsabilità sciistica, Torino 2006), in virtù del fatto che questo obbligo di protezione tramuterebbe di fatto un obbligo di precauzione in una sorta di obbligo indeterminato e potenzialmente senza limiti, come è accaduto in talune decisioni ove si è ritenuta la responsabilità del gestore, applicando per esempio tale criterio del mancato arresto dell’impianto da parte dell’addetto, all’ipotesi in cui lo sciatore (lo snowboarder, per la precisione) dopo essere sceso sia tornato volontariamente indietro venendo così investito da un seggiolino (App. Trento 2/5/00, citata da SIEFT, op. ult. cit).
b) Relativamente agli incidenti avvenuti nel corso della discesa, e ipoteticamente attribuibili a una qualche responsabilità del gestore e non al fatto di altri sciatori (di cui parleremo nel prosieguo).
Fino agli anni ottanta era statisticamente difficile che venisse affermata la responsabilità del gestore per gli incidenti avvenuti in pista, peraltro ricondotti alla generica responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c..
Al fine di superare le difficoltà probatorie della responsabilità aquiliana, si è cercato “rifugio” nelle ipotesi di responsabilità presunta/oggettiva, che quantomeno prevedono l’inversione dell’onere della prova a carico del gestore.
Anzitutto alcuna parte della dottrina [DEL CORSO] ha caldeggiato l’applicazione dell’art. 2050 c.c., ovvero la norma che pone una presunzione di responsabilità a carico di chi esercita una attività pericolosa.
In realtà a parte una pronuncia risalente nel tempo e peraltro peculiare nel fatto (Trib. Savona 20/12/1965, citata in IZZO, Danno e Responsabilità 7/11) non si rinvengono ulteriori sentenze che abbiano avvallato tale tesi, che è stata anzi espressamente disattesa dalla Cassazione nel 2001 sia per la natura intrinsecamente non pericolosa dell’attività sciistica (peraltro non esiste norma che qualifichi come “pericolosa” la pratica sciistica) e sia per il fatto che non risulta tale qualità dell’attività dalla natura delle cose o dei mezzi adoperati (cfr. Cass. Civ. n. 2216/01; Cass. Pen. n. 39619/07).
Anche un sentenza della Corte di Cassazione, che talvolta viene frettolosamente citata a sostegno di tale tesi (Cass. Civ. 7916/04) in realtà afferma qualcosa di diverso, vale a dire se sia qualificabile come pericolosa l’attività di gestione dell’impianto con riferimento alla necessità di delimitazione della via di imbocco alla sciovia mediante materiali rigidi infissi nella neve su area sciabile e frequentata da sciatori inesperti.
Invece l’art. 2050 potrà essere invocato per le ipotesi di danni subiti da sciatori non partecipanti o altri terzi e la cui responsabilità sia addebitabile agli organizzatori di gare sciistiche.
Ha avuto, invece, miglior sorte la tesi che ritiene applicabile anche al gestore degli impianti da sci la responsabilità presunta (o oggettiva, che dir si voglia: a tal proposito, e più in generale sul progressivo allargamento dei confini dell’art. 2051 c.c., mi permetto di richiamare quanto scritto nel n.1/12 di questa rivista, a proposito della responsabilità della pubblica amministrazione) del custode per i danni causati dalla cosa in custodia.
La prima sentenza di merito assurta agli onori delle cronache che ha affermato in maniera perentoria la responsabilità per custodia a carico del gestore delle piste da sci è stata quella del Tribunale di Modena 12/11/90 (“è configurabile nei confronti del gestore di impianti di risalita sciistica, che abbia il compito di svolgere la manutenzione delle piste, una responsabilità per danni da cosa in custodia”).
Negli anni seguenti si sono fatte via via sempre più numerose, anche nell’ambito del generale, e già citato, allargamento del campo di applicazione della responsabilità ex 2051 c.c., le prese di posizione volte ad affermare la responsabilità da cosa in custodia piuttosto che la generale responsabilità aquiliana.
Senz’ombra di dubbio una mano l’ha data, pur senza quella chiarezza che sarebbe stata auspicabile, la stessa legge 363/03 che nell’art. 3 pone a carico dei gestori un obbligo di assicurare agli utenti la pratica delle attività sportive e ricreative in condizioni di sicurezza, provvedendo alla messa in sicurezza delle piste secondo quanto stabilito dalle regioni nonché di “di proteggere gli utenti da ostacoli presenti lungo le piste mediante l’utilizzo di adeguate protezioni degli stessi e segnalazioni della situazione di pericolo”.
Peraltro, seppur a oggi la tesi maggiormente seguita dalla giurisprudenza sia quella della responsabilità extracontrattuale, sempre più spesso, si fa fatto riferimento al cd. contratto di skipass, definito un contratto (evidentemente atipico) “riferito non solo al trasporto di persone nella fase di risalita ma anche all’utilizzo della pista di discesa, con al conseguenza che la responsabilità del gestore è in entrambe le fasi contrattuale” (così Trib. Napoli, 25/01/11, disponibile al link) andando così ad applicare all’attività sciistica sia di risalita che di discesa la natura di responsabilità contrattuale in capo al gestore.
L’idea che sta alla base di tale tesi è quella per cui lo sciatore nel momento in cui acquista uno skipass non acquista solo la possibilità di risalire ma anche (e direi soprattutto) quella di usufruire delle piste di discesa, che il gestore ha l’obbligo di presentare prive di insidie non segnalate e nel complesso bene mantenute.
E il Tribunale di Modena, già citato sopra, ad affermare nel 1990 la responsabilità contrattuale del gestore “anche per la fase di discesa sulle piste di cui abbia la manutenzione”.
Evidentemente, così come l’applicazione delle norme speciali di responsabilità extracontrattuale così anche il richiamo alla responsabilità contrattuale comporta una agevolazione non di poco conto dal punto di vista probatorio per il danneggiato, rispetto alla prova costretto a fornire in regime di responsabilità aquiliana
D’altra parte che un utente salga su un impianto da sci per scendere dalla pista è sia un fatto casualmente più che probabile quanto anche normativamente coartato dal momento che l’art. 15 della legge 363/03 vieta espressamente, fatte salve le ipotesi di urgente necessità, di percorrere a piedi le piste da sci.
La Suprema Corte ha dato espresso riconoscimento giuridico al contratto di skipass per la prima volta con la sentenza n. 2563/07, in cui viene definito come un “contratto atipico nella misura in cui il gestore dell’impianto assume anche, come di regola, il ruolo di gestore delle piste servite dall’impianto di risalita, con derivante obbligo a suo carico della manutenzione in sicurezza della pista medesima e la possibilità che lo stesso sia chiamato a rispondere dei danni prodotti ai contraenti determinati da una cattiva manutenzione della pista, sulla scorta delle norme che governano la responsabilità contrattuale per inadempimento, sempre che l’evento dannoso sia eziologicamente dipendente dalla suddetta violazione e non, invece, ascrivibile al caso fortuito riconducibile ad un fatto esterno al sinallagma contrattuale”.
A oggi, peraltro, la giurisprudenza tende, come detto, a preferire l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. allo sciatore che subisca un danno lungo al pista.

La responsabilità del maestro di sci

Se la figura professionale del maestro di sci ha trovato la sua cornice normativa nei primi venti articoli della legge-quadro n.81 del 8 marzo 1991 (Legge-quadro per la professione di maestro di sci e ulteriori disposizioni in materia di ordinamento della professione di guida alpina) e in particolare nell’art. 2, la normativa non si è invece preoccupata (verrebbe da dire: neanche in questo caso, per quello che abbiamo appena visto a proposito del gestore degli impianti) di disciplinare la natura della responsabilità del maestro e della scuola nei confronti dei danni subiti dagli allievi.
D’altra parte, è oramai copiosa la giurisprudenza sul punto, che per molti aspetti presenta analogie con il percorso appena visto a proposito della responsabilità del gestore.
In sintesi: da un passato in cui veniva dichiarato applicabile generalmente il regime di responsabilità aquiliana, per poi passare all’applicazione del regime di responsabilità speciale previsto dall’art. 2048, 2″ comma c.c. per i precettori e maestri d’arte, e infine alla affermazione per cui si tratterebbe di una responsabilità contrattuale. Anche alla scuola e al maestro di sci, infatti, si è ritenuto applicabile il principio, affermatosi nel più generale campo della responsabilità dell’istituto scolastico nei confronti dell’alunno, per cui “a seguito dell’accoglimento della domanda di iscrizione all’istituto scolastico e dalla conseguente ammissione dell’allievo alla scuola sorge infatti a carico del medesimo istituto l’obbligo di vigilare sulla sicurezza e incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni.” (così Cass. Civ. 2559/11, proprio in un caso di responsabilità della scuola di sci).
Da ciò deriva quale conseguenza fondamentale, come sempre, l’agevolazione probatoria che l’affermazione della natura contrattuale garantisce rispetto al regime di responsabilità aquiliana.
Per quanto concerne i casi in cui si è applicato, e ancora si applica, la responsabilità oggettiva ex 2048, ampio spazio ha trovato il contrasto tra sentenze che ritengono applicabile la norma anche nel caso dell’autolesione e altre che invece la escludono (e quest’ultimo, esplicitato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 9346/02 è attualmente l’orientamento maggioritario).
Peraltro sempre più spesso si è fatto riferimento alla categoria (di origine tedesca) degli obblighi di protezione, ovvero a quegli obblighi di natura contrattuale, che sono accessori all’obbligo principale di prestazione (nel caso di specie, l’insegnamento dello sci), e la cui violazione da luogo a una responsabilità i cui fondamenti normativi vengono rinvenuti nelle norme sulla correttezza e buona fede (artt. 1175, 1337, 1366, 1375 c.c.).
Tra questi obblighi vi sarebbe per l’appunto quelli di svolgere la lezione di sci in un ambito di sicurezza (pur sempre parametrata all’attività concreta).
In questo senso (e in particolare precisando la necessità di “stabilire se la scuola abbia adempiuto le obbligazioni volte a garantire la sicurezza dell’allievo, per quanto è possibile”) si sono espresse la Terza sezione nella sentenza 2559/11 e ancora più recentemente Cass. 9437/3012, che ribadiscono conseguentemente la doverosità dell’applicazione del regime probatorio previsto dall’art. 1218 c.c..

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Renato Savoia

Avvocato, Studio Legale Savoia www.renatosavoia.com/news/

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