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Responsabilità sanitaria: le novità introdotte dalla c.d. Legge Gelli

Tutte le novità introdotte dalla Legge n. 24 dell’8 marzo 2017 (c.d. Legge Gelli) con specifico riferimento alla responsabilità civile degli esercenti la professione sanitaria.

 
1. Prima della Legge Gelli: lo stato dell’arte in materia di responsabilità civile sanitaria e il problema della c.d. medicina difensiva
Dopo lunghi dibattiti parlamentari, eco dei contrasti tra la giurisprudenza e la dottrina che sin dagli anni novanta hanno agitato la materia della responsabilità medica, finalmente si è giunti ad un punto fermo con la Legge n. 24 del 2017, recante “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”.
La Legge in commento, in particolare, affronta il medesimo problema che il Legislatore si era proposto di affrontare nel 2012 con la Legge Balduzzi, e cioè quello della c.d. medicina difensiva.
Tale fenomeno di malpractice medica, come noto, consiste in quei comportamenti attivi od omissivi, consapevoli od inconsapevoli, comunque non volti ad una tutela diretta della integrità psico-fisica del malato, per cui il medico, sfiduciato (tra le altre cose) dall’ordinamento giuridico, visto più come un ostacolo alla professione, che come uno strumento di tutela, per la paura di non comportarsi esattamente di fronte a questioni complesse decide di prescrivere esami e terapie non necessarie (c.d. medicina difensiva positiva), ovvero di evitare pazienti o cure diagnostiche ad alto rischio (c.d. medicina difensiva negativa).
Ebbene, la più rilevante causa del fenomeno (si badi, non solo italiano, bensì mondiale) nell’ambito del nostro ordinamento è stato senza dubbio il progressivo proliferare di contenziosi a carico dei sanitari.
L’aumento delle azioni risarcitorie contro i medici, in particolare, si registra a partire dal 1999 quando, con la nota sentenza n. 589/99, la Suprema Corte ha ricondotto la responsabilità di tutti gli esercenti la professione sanitaria nell’alveo della responsabilità contrattuale da c.d. contatto sociale.
Tale statuizione, frutto dei meritevoli sforzi della giurisprudenza di fornire una sempre maggiore tutela al malato, nel corso degli anni è stata affiancata da un’altra lunga serie di principi di diritto volti a regolare la materia della responsabilità civile medica, che sino alla promulgazione della Legge in commento ne individuavano lo stato dell’arte. E cioè:

  1. la responsabilità civile dei medici, liberi professionisti o dipendenti, e delle strutture sanitarie, pubbliche o private, aveva sempre natura contrattuale, e poteva fondarsi o su di un vero e proprio contratto (il c.d. contratto atipico di spedalità), ovvero sul c.d. contatto sociale;
  2. di conseguenza, il termine di prescrizione per far valere il diritto al risarcimento del danno era, per tutti, quello ordinario decennale;
  3. il paziente che si riteneva danneggiato, beneficiando della presunzione di cui all’art. 1218 c.c., doveva fornire la prova, durante la causa, del solo titolo della richiesta (e quindi del contatto con il medico, ovvero del contratto di spedalità con il nosocomio, che si perfeziona automaticamente con l’accettazione nella struttura) e del danno patito, essendo tenuto poi alla mera allegazione dell’inadempimento o dell’inesatto adempimento del dottore (secondo il principio della vicinanza della prova) e del nesso causale tra questi ed il danno subito, sempre che l’allegazione dello stesso non sia generica, ma individui un inadempimento astrattamente efficiente alla produzione del danno;
  4. il dottore, invece, era tenuto ad un onere probatorio assai più gravoso, potendo andare esente da responsabilità solo dando prova dell’adempimento diligente, prudente e perito ovvero del fatto che il danno sia stato causato da un evento imprevisto ed imprevedibile e quindi a lui non imputabile, salva l’esenzione di responsabilità di cui all’art. 2236 c.c., invero assai raramente riconosciuta dalle Corti, che esclude la responsabilità del medico incorso in colpa lieve nella prestazione di un intervento di speciale difficoltà.

All’impegno della giurisprudenza di garantire in punto di diritto sempre maggiori tutele ai pazienti, tuttavia, è seguito un evidente e paradossale peggioramento della qualità delle cure prestate dai medici e dalle strutture sanitarie.
E la causa è stata individuata, appunto, nel fenomeno della medicina difensiva, che trova la sua principale origine proprio nel crescente aumento di cause legali intentate dai pazienti contro i medici.
Su queste basi sono intervenute dapprima nel 2012 la Legge c.d. Balduzzi (per il commento della quale si rimanda all’articolo Legge Balduzzi sulla Sanità: la Responsabilità medica) e recentemente la Legge Gelli c.d. Gelli.
SEGUE 1a. La Legge c.d. Gelli n. 24 dell’8 marzo 2017: una norma innovativa o di interpretazione autentica della Legge c.d. Balduzzi?
La Legge Gelli affronta il tema della responsabilità civile dei sanitari da tre punti di vista: quello sostanziale, quello processuale e quello assicurativo.
Oltre alla indiscutibile portata chiarificatrice della norma, tuttavia, ciò che preme evidenziare è che la riforma in commento non è altro se non la spiegazione, l’interpretazione e, per certi versi, la specificazione di quanto il Legislatore già aveva disposto con l’arcinota Legge Balduzzi, che purtuttavia risentiva del fatale difetto di voler perseguire un pregevole intento (quello di combattere la medicina difensiva) attraverso un testo talmente sbrigativo ed approssimativo da essere in pochissimo tempo del tutto superato e confutato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, ancora una volta ancorate al sistema di responsabilità civile basato sul c.d. contatto sociale medico-paziente.
La Legge Gelli, che per sua fortuna non sembra soffrire di queste lacune, reintroduce e specifica per l’appunto quelle novità già introdotte dalla Balduzzi e presenti nel nostro ordinamento come diritto vivente (ancorché disapplicato) sin dal 2012.
 
2. La responsabilità civile dell’esercente la professione sanitaria; aspetti sostanziali
Varie sono le disposizioni della Legge Gelli che, in modo più o meno innovativo, riformano la materia della responsabilità civile dell’esercente la professione sanitaria.
SEGUE 2a. La natura della responsabilità civile
Dal punto di vista sostanziale, il primo evidente ambito di intervento della norma in commento riguarda la natura della responsabilità degli esercenti la professione sanitaria, che come noto possono distinguersi in tre categorie: quella dei medici liberi professionisti, quella dei medici c.d. strutturati e quella delle strutture sanitarie, pubbliche o private che siano.
Sul punto, l’art. 7 della Legge Gelli è chiarissimo nel disporre che:
co. 1. La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose.
co. 2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina.
co. 3. L’esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente”.
Ebbene, se da un lato viene correttamente confermata la natura contrattuale della responsabilità dei medici liberi professionisti (che concludono con il paziente un contratto d’opera professionale ex art. 2333 e ss. c.c.) e delle strutture sanitarie (sia per responsabilità propria sulla base del contratto di spedalità e sia per responsabilità dei sanitari di cui si avvale ex art. 1228 c.c.), dall’altro viene finalmente ed a chiare lettere enunciata la natura extracontrattuale dei medici c.d. strutturati.
Come già anticipato, anche la Legge Balduzzi sembrava essersi mossa in tale direzione, disponendo all’art. 3, co. 1, che:
L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve.
In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile.
Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.
L’inatteso revirement della Balduzzi (inatteso perché forse non preceduto dall’ampio dibattito che ha caratterizzato la promulgazione della Legge Gelli), tuttavia, non veniva colto ed anzi veniva smentito dalla giurisprudenza di legittimità, che dapprima con la sentenza n. 4030/2013 (intervenuta subito successivamente all’entrata in vigore della Legge Balduzzi), poi con la sentenza n. 8940 del 17.04.2014 ed infine con la pronuncia n. 27391 del 24.12.2014 aveva esplicitamente sostenuto l’applicabilità della disciplina contrattuale alla responsabilità del medico.
A tal riguardo, sosteneva infatti la Suprema Corte nelle pronunce predette che “il Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158, articolo 3, comma 1, come modificato dalla Legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189, nel prevedere che ‘l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve’, fermo restando, in tali casi, ‘l’obbligo di cui all’articolo 2043 c.c.’, non esprime alcuna opzione da parte del Legislatore per la configurazione della responsabilità civile del sanitario come responsabilità necessariamente extracontrattuale, ma intende solo escludere, in tale ambito, l’irrilevanza della colpa lieve” (sul punto si veda l’articolo Il rinnovato problema della natura della responsabilità medica; Rassegna giurisprudenziale).
Ora, invece, non possono più sollevarsi dubbi sulla natura aquiliana della responsabilità dei medici strutturati, così superandosi quel dogma del contatto sociale che per anni aveva contraddistinto il panorama giudiziario italiano (cfr. vedi infra).
Una volta confermata la natura extracontrattuale della responsabilità del medico strutturato, le conseguenze ricollegate all’applicabilità dell’art. 2043 c.c. sono notevoli e, si spera, saranno in grado di ridurre il contenzioso nei confronti dei sanitari ospedalieri e quindi di limitare progressivamente il fenomeno della medicina difensiva.
In particolare, due sono i maggiori vantaggi che la nuova natura della responsabilità accorda ai medici strutturati:

  1. da un lato, l’applicabilità dell’art. 2043 c.c. consente di ridurre in favore dei medici il termine di prescrizione dell’azione di responsabilità, che da decennale passa a quinquennale ex art. 2947 c.c.;
  2. dall’altro, cambia radicalmente l’onere della prova richiesto al paziente ed al medico, poiché il paziente non potrà più beneficiare della presunzione di colpa di cui all’art. 1218 c.c. e sarà pertanto onerato di dimostrare non solo l’evento, il danno ed il nesso causale tra questi, ma anche la colpa del danneggiante, intesa in ambito sanitario come la negligenza, imprudenza od imperizia da questi praticata nello svolgimento della sua prestazione (prima, invece, era il medico a dover dimostrare o di non aver agito in modo colposo ovvero che il danno fosse derivato da causa a lui non imputabile).

Tali novità saranno forse in grado di limitare il fenomeno della medicina difensiva, poiché il paziente che si ritenga danneggiato, in virtù di quanto sopra e se correttamente consigliato, preferirà citare in giudizio non già il medico strutturato che ha in concreto eseguito l’intervento, che risponderebbe ex art. 2043 c.c., bensì la struttura sanitaria che lo ha ospitato, la cui responsabilità, come si è visto, continua ad avere natura contrattuale ex artt. 1218 e 1228 c.c..
SEGUE 2b. L’azione di rivalsa nei confronti del medico strutturato
Altra disposizione in grado di limitare il fenomeno della medicina difensiva è quella di cui all’art. 9 della Legge in commento in tema di azione di rivalsa della struttura sanitaria nei confronti dell’esercente la professione sanitaria.
Il medico strutturato, infatti, potrà giovare delle limitazioni introdotte dall’art. 9 della Legge Gelli in tema di azione di rivalsa della struttura sanitaria soccombente.
Tali condizionamenti, per non voler richiamare testualmente la già chiara disposizione normativa, sono in buona sostanza i seguenti:

  1. la struttura può rivalersi nei confronti dell’esercente la professione sanitaria solo se questi abbia agito con dolo o colpa grave;
  2. se il medico non ha partecipato al procedimento giudiziale o stragiudiziale di risarcimento del danno, l’azione di rivalsa nei suoi confronti può essere esercitata soltanto successivamente all’effettivo versamento della somma in favore del paziente e, a pena di decadenza, entro un anno dall’avvenuto pagamento;
  3. nel contenzioso tra medico ed ospedale non fa stato la sentenza pronunciata nel giudizio tra paziente e struttura sanitaria/assicurazione, se il medico non è stato parte del giudizio;
  4. in nessun caso nel contenzioso tra medico ed ospedale non fa stato la transazione raggiunta tra la struttura/assicurazione ed il paziente.

SEGUE 2c. L’individuazione delle Buona pratiche clinico-assistenziale e delle linee guida cui i medici devono attenersi
Sempre in ambito sostanziale, un’altra importantissima e in parte sottaciuta novità (stavolta è davvero una novità) introdotta dalla Legge Gelli riguarda l’individuazione delle ‘Buone pratiche clinico-assistenziali e raccomandazioni previste dalle linee guida’.
Infatti, già con l’art. 3 della Legge Balduzzi si era statuito che il medico, che nello svolgimento della propria prestazione avesse seguito le ‘linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica’, non avrebbe risposto penalmente per colpa lieve e che nel giudizio civile il giudice avrebbe comunque dovuto tener conto della corrispondenza della condotta del sanitario a quella descritta da tali linee guida.
Ancora una volta, però, la Balduzzi mancava di precisione.
Ciò, in quanto non solo non individuava quali fossero queste raccomandazioni che i sanitari avrebbero dovuto seguire, ma anche e soprattutto nulla diceva su come individuare la ‘comunità scientifica’ in grado di accreditarle.
L’art. 6, co. 1, della Legge Gelli si propone di risolvere, ed effettivamente risolve, questa problematica, affermando che:
Gli esercenti le professioni sanitarie, nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 ed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, e da aggiornare con cadenza biennale”.
Solo in mancanza delle suddette raccomandazioni, la norma prevede che gli esercenti le professioni sanitarie si dovranno attenere alle buone pratiche clinico-assistenziali.
Ed il successivo comma 3 dell’art. 6, in maniera ancora più specifica, dispone che:
Le linee guida e gli aggiornamenti delle stesse elaborati dai soggetti di cui al comma 1 sono integrati nel Sistema nazionale per le linee guida (SNLG), il quale è disciplinato nei compiti e nelle funzioni con decreto del Ministro della salute, da emanare (…) entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
L’Istituto superiore di sanità pubblica nel proprio sito internet le linee guida e gli aggiornamenti delle stesse indicati dal SNLG, previa verifica della conformità della metodologia adottata a standard definiti e resi pubblici dallo stesso Istituto, nonché della rilevanza delle evidenze scientifiche dichiarate a supporto delle raccomandazioni”.
Nell’attesa della emanazione dei suddetti decreti del Ministero della salute, non si può comunque che accogliere con (cauto) ottimismo la formulazione della nuova norma, che si spera sarà in grado di garantire una maggiore certezza del diritto nell’ambito dei procedimenti aventi ad oggetto casi di malasanità.

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Nicolo Maria Vallini Vaccari

Avvocato, Studio Legale & Tributario Vallini Vaccari, Foro di Verona.

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