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Status di Rifugiato: Corte d'Appello di Milano, sentenza n. 4288/2018, II sez. civile

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’ APPELLO DI MILANO
Sezione seconda civile

nelle persone dei seguenti magistrati:
Alberto Vigorelli – Presidente
Carlo Maddaloni – Consigliere
Caterina Interlandi – Consigliere
relatore ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. r.g. 5385/2017 promossa in grado d’appello da
B.XXXXXX S.XXXX (C.F. XXXXXXXXXXXXXXXX), elettivamente domiciliato in XXXXXXXXXXX, 15 20122 MILANO presso lo studio dell’ avv. P.XX S.XXXX, che lo rappresenta e difende come da delega in atti

APPELLANTE

CONTRO

MINISTERO DELL’ INTERNO – Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, rappresentato e difeso ex lege dall’ Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, nei cui uffici, in Milano, via XXXXXXXXX n. 1, è per legge domiciliato

APPELLATO

AVVERSO l’ ordinanza emessa dal Tribunale di Milano (Sezione Protezione Internazionale Civile) il 24.10.2017 nel procedimento N.R.G.37677/2017, comunicata il 26.10.2017 OGGETTO: appello avverso ordinanza di rigetto della protezione internazionale

CONCLUSIONI DELL’ APPELLANTE S.XXXX A.XXXXXXX

Piaccia alla Ecc. ma Corte di Appello di Milano, ogni contraria istanza e/o eccezione disattesa e/o respinta, in accoglimento del presente appello e ritenutane l’ammissibilità in ragione della probabilità dell’accoglimento dello stesso, previa sospensione dell’ efficacia del provvedimento impugnato ed in riforma della ordinanza a definizione del procedimento di primo grado indicato in epigrafe: in via principale: riformare l’ ordinanza impugnata ed accertata l’ illegittimità del provvedimento n. MI0007434 – K15306 espresso in data 23.02.2016, notificato in data 10.06.2016, della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale – presso la Prefettura U.T.G. – di Milano e riconoscere al Signor S.XXXX A.XXXXXXX lo status di rifugiato; in via subordinata: riformare l’ ordinanza impugnata ed accertata l’ illegittimità provvedimento n. MI0007434 – K15306 espresso in data 23.02.2016, notificato in data 10.06.2016, della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale – presso la Prefettura U.T.G. – di Milano e riconoscere al Signor S.XXXX A.XXXXXXX la protezione sussidiaria; in via ulteriormente subordinata: riformare l’ordinanza impugnata ed accertata l’illegittimità provvedimento n. MI0007434 – K15306 espresso in data 23.02.2016, notificato in data 10.06.2016, della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale – presso la Prefettura U.T.G. – di Milano ordinare/disporre la trasmissione degli atti al Questore di Milano ovvero alla Questura ritenuta competente per il rilascio di permesso di soggiorno per motivi umanitari ex art. 5 comma 6 del D.Lgs. 286/1998 in favore del Signor S.XXXX A.XXXXXXXX

CONCLUSIONI DELL’APPELLATO MINISTERO DELL’ INTERNO

Voglia codesta Ecc. ma Corte, respinta ogni istanza contraria, così giudicare:
– in via pregiudiziale: dichiarare inammissibile l’ appello per i motivi sopra esposti;
– nel merito: respingere tutte le domande avversarie in quanto infondate in fatto e in diritto, confermando l’ordinanza impugnata;
– in ogni caso: revocare, ove già concessa, l’ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato ovvero dichiarare inammissibile la relativa istanza per le ragioni esposte in narrativa.
Con vittoria di spese e competenze.
Ci si oppone inoltre alla produzione di ulteriore documentazione nel corso del giudizio di appello, in quanto inammissibile e/o irrilevante se attinente all’ integrazione sociale dell’ appellante.
La difesa del Ministero dichiara inoltre sin d’ ora – ove la Corte lo chiedesse alle parti in sede di udienza di precisazione delle conclusioni – di rinunciare ai termini di legge per il deposito di comparsa conclusionale e di memoria di replica.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con ricorso ai sensi dell’ art. 35 D.Lgs. 28 gennaio 2008 n. 25, depositato 24.6.2016, S.XXXX A.XXXXXXX ha chiesto al Tribunale di Milano di riformare la decisione della Commissione Territoriale pronunciata in data 11.5.2016, con la quale sono state rigettate le domande di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione internazionale sussidiaria ed in ulteriore subordine della protezione umanitaria.
Nel corso della audizione avanti alla Commissione Territoriale il ricorrente ha dichiarato:
– di essere cittadino ivoriano, originario della città di Man, di appartenere al gruppo etnico Mahoukan e di professare la religione musulmana;
– di aver condotto gli studi fino alla scuola primaria e di aver lavorato in una ditta di trasporti come addetto al carico e allo scarico delle merci;
– di essere celibe, che il padre è deceduto a causa di un incidente stradale nel 2013, la famiglia del ricorrente è composta dalla madre (seconda moglie del padre) e dalla sorella minore, con le quali non è più in contatto;
– di aver lasciato il Paese di origine per problemi familiari, in quanto il fratellastro (figlio della prima moglie del padre) e lo zio paterno, dopo la morte del padre del ricorrente, oltre a disinteressarsi della madre del ricorrente e della sorella minore (la quale aveva dovuto interrompere gli studi), gli avevano intimato di lasciare immediatamente la casa, pretendendo di estrometterli dall’ asse ereditario; una notte, lo zio e il fratellastro, armati di fucile, li hanno minacciati cacciandoli dalla casa; la madre del ricorrente aveva cercato di denunciare il fatto alla polizia, ma senza successo, in quanto il fratellastro e lo zio paterno sono persone potenti poiché facevano parte di un gruppo di ribelli, protetto dal governo in carica; dopo ulteriori minacce, per via del tentativo di denuncia, la madre consigliava al figlio di lasciare la città; così il ricorrente, nel 2013 si recava Abidjan dove lavorava come aiutante camionista; durante una trasferta di lavoro in Libia la polizia ha arrestato lui e il suo compagno di lavoro per trasporto irregolare di merci, e il ricorrente è stato condotto a Tripoli e trattenuto in una casa per sei mesi, fino al 26.10.2014 quando è stato portato sulla spiaggia e imbarcato per l’ Italia dove è giunto il 14.5.2015;
– non intende tornare in Libia perché teme di essere ucciso dal fratellastro.
La Commissione Territoriale ha respinto la richiesta di protezione internazionale nelle sue diverse forme, in quanto i motivi della fuga dal Paese di origine del ricorrente riguardano “dissapori familiari legati all’eredità”. La Commissione ha quindi escluso la sussistenza di persecuzione ex art. 1 della Convenzione di Ginevra e di un rischio effettivo di danno grave ex art. 14 D.lgs. 251/2007. La Commissione ha escluso, inoltre, la possibilità di riconoscimento della protezione umanitaria, ritenendo che non emergono situazioni di vulnerabilità che giustifichino questo strumento di tutela.
All’udienza dell’11.10.2017 davanti al Tribunale, il ricorrente, per mezzo di un interprete, ha sostanzialmente confermato quanto già dichiarato davanti all’ organo amministrativo, precisando il nome dello zio paterno (S.XXXX M.XXXX), e affermando che la madre e la sorella vivono a Malou (un piccolo villaggio lontano da Man). Il Tribunale di Milano ha analogamente respinto la domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato, in quanto le vicende narrate “non raggiungono un sufficiente grado di credibilità intrinseca perché riportate in maniera generica e poco circostanziata e caratterizzate da aspetti di implausibilità”: il Tribunale ha ritenuto poco credibile che il ricorrente, economicamente autosufficiente, non fosse riuscito a contrastare le pretese del fratellastro attraverso il ricorso a un legale per fare accertare il proprio diritto all’ eredità; inoltre il ricorrente ha riferito, “in maniera del tutto generica”, che la denuncia non ha sortito alcun effetto per via dell’ appartenenza del fratellastro e dello zio al gruppo dei ribelli, essendo incomprensibile la tutela, nei confronti dei ribelli, da parte delle forze di polizia filo-governative.
Il Tribunale ha, altresì, escluso la sussistenza dei presupposti di cui all’ art. 14 lett. c) D.lgs. 251/2007 considerata la situazione socio-politica della Costa D’Avorio, dove si registra un tentativo di “consolidare le basi democratiche”, supportato anche da una importante crescita economica iniziata nel 2011. Infine il Tribunale ha rigettato la domanda ex art. 5 comma 6 TU Immigrazione, considerata l’ assenza di particolari profili di vulnerabilità “(il ricorrente ha 23 anni, non ha segnalato problemi di salute, ha dimostrato buone dott. di autonomia e di apprendimento, ha importanti agganci nel territorio in quanto lì vivono la madre e la sorella)” e la situazione socio-politica non allarmante del Paese di origine del richiedente.
Avverso l’ordinanza S.XXXX A.XXXXXXX ha proposto tempestivo appello chiedendo di sospendere l’efficacia del provvedimento impugnato, insistendo per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria ovvero di accertare e dichiarare il diritto del ricorrente ad una protezione di carattere umanitario.
Il Ministero si è costituito e ha concluso come sopra riportato.
Il Procuratore Generale ha concluso per la conferma del provvedimento impugnato, come da parere scritto prodotto.
All’udienza del 19.07.2018 l’appellante ha rinunciato all’istanza di sospensiva, preso atto che la causa sarebbe stata decisa all’ esito della medesima udienza.
L’appellante non è comparso personalmente; il difensore ha dichiarato che S.XXXX si trova in S. alla ricerca di lavoro.
Il Procuratore ha quindi concluso come in atti e la Corte ha trattenuto la causa in decisione senza assegnazione di termini per la comparsa conclusionale, avendovi le parte rinunciato.
L’appellante lamenta il mancato riconoscimento dello status di rifugiato, in quanto il richiedente asilo ha compiuto ogni ragionevole sforzo per fornire una circostanziata ed esaustiva ricostruzione dei fatti che lo hanno costretto a fuggire dalla Costa D’Avorio, mentre il Tribunale non ha assolto all’onere di verifica delle dichiarazioni del ricorrente nel rispetto del principio dell’ onere della prova attenuato che vige in questa materia, pur avendo il ricorrente manifestato un concreto timore di essere perseguitato sia dal fratellastro, sia dallo zio paterno che dai ribelli.
Per ciò che riguarda i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, il ricorrente lamenta che il Giudice di prime cure non ha esaminato correttamente la situazione politico sociale e religiosa esistente in Costa D’Avorio, la inefficacia delle pubbliche istituzioni e la minaccia terroristica presente nel territorio.
Infine il ricorrente lamenta il mancato accoglimento della residuale forma di protezione di cui all’art. 5 comma 6 del T.U. Immigrazione, stante il positivo percorso integrativo del ricorrente in Italia, comprovato dalle fatture emesse a seguito dello svolgimento di lavoro, e la criticità della situazione socio-politica del Paese di origine.
L’appello è manifestamente infondato.
La Corte rileva che il racconto del ricorrente appare generico, inverosimile e stereotipato con riferimento alle vicende che hanno originato la sua migrazione, la quale in ogni caso non è descritta nei termini di una fuga dal Paese di origine.
Il ricorrente non ha infatti esposto in maniera dettagliata le modalità con cui il fratellastro maggiore e lo zio lo avrebbero minacciato e privato della sua legittima quota di eredità, che peraltro non consegue al semplice allontanamento di fatto dalla casa familiare dell’erede, economicamente indipendente, il quale non ha fatto ricorso alla pubblica autorità per ottenere la tutela dei propri diritti, e non è fuggito dal Pese in conseguenza delle minacce, limitandosi a trasferirsi in altra città dove ha trovato un lavoro che gli garantiva il sostentamento.
La affermazione del ricorrente secondo cui la denuncia sarebbe stata controproducente poiché i famigliari sono protetti dal Governo in carica in quanto parte di un gruppo politico di ribelli, è, oltre che generica, intrinsecamente contraddittoria.
A tali valutazioni consegue un giudizio di non credibilità del ricorrente che impedisce di accogliere la richiesta di protezione internazionale primaria e sussidiaria ai sensi dell’ art. 14 lett. a) e b) D. Lgs 251/2007, mancando la prova di persecuzione o di un rischio concreto di danno grave alla persona del ricorrente, in particolare il rischio concreto di mancata tutela da parte dello Stato del ricorrente dalle minacce del fratellastro e dello zio paterno, astrattamente rilevanti ai sensi dell’ art. 14 lett. b) D. Lgs 251/2007. Anche in astratto inoltre deve rilevarsi che il ricorrente ha affermato di essersi trasferito nella capitale a lavorare come aiutante di un trasportatore per evitare le aggressioni dei parenti, su consiglio della madre, e di essere giunto in Italia non perché fuggito dal Paese di origine, ma in quanto nel corso di una trasferta di lavoro in Libia è stato arrestato e trattenuto fino alla sua partenza per l’ Italia.
La vicenda sin dall’ inizio è stata descritta quindi secondo caratteri evidentemente privatistici, in assenza sia di atti di persecuzione sia di una fuga dal Paese di origine.
Per quanto riguarda la situazione del Paese del richiedente è poi da escludere la presenza di un pericolo attuale di danno grave e concreto derivante da situazioni di violenza indiscriminata in un contesto di conflitto armato interno o internazionale, presupposto del riconoscimento della protezione sussidiaria nell’ ipotesi di cui all’ art. 14 lett c) D. lgs. 251/2007. I più aggiornati rapporti COI rinvenibili su EASO danno atto di considerevoli progressi in Costa D’Avorio, dopo la crisi del 2010/2011, in materia di controllo dell’ordine pubblico e nel settore economico, in particolare nel campo agricolo e nelle infrastrutture, pur rimanendo il Paese ancora tra gli ultimi per sviluppo umano, soprattutto fuori della capitale.
Le misure di peace keeping delle NU sono terminate nel giugno 2017 e si sta lentamente superando anche il contrasto nella popolazione tra sostenitori dell’ attuale governo e sostenitori del governo spodestato nel 2011, e la fragilità del Paese viene contenuta grazie al tasso di crescita economica, pur avendo bisogno di ulteriori progressi in materia di sicurezza e di riconciliazione politica.
Gli ammutinamenti in alcune frange dell’esercito appaiono episodici, per quanto gravi, e fondati su rivendicazioni essenzialmente economiche.
In materia di terrorismo, infine, pur restando alto il pericolo di attacchi nell’ intera area saheliana, le Autorità Ivoriane, dopo l’attacco armato avvenuto il 13 marzo del 2016 a Grand Bassam , “hanno disposto un rafforzamento dei controlli nel Paese e delle misure di sorveglianza dei siti ritenuti particolarmente sensibili (es. hotel, centri commerciali, scuole internazionali)”.
La mancata comparizione personale dell’ appellante all’ udienza di trattazione non consente alla Corte, da ultimo, di apprezzare, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria ex art. 5 comma 6 T.U. Immigrazione, le attuali condizioni di vita del ricorrente, che non sono note, né di valutare ulteriori e attuali specifici motivi di vulnerabilità rilevante per il riconoscimento di tale tipo di tutela, e di considerare il grado di integrazione del ricorrente nel contesto socio-economico italiano.
Le tre fatture prodotte del 2017 per importi modesti a compenso di attività lavorativa non consentono di affermare l’avvenuto inserimento del ricorrente nel tessuto lavorativo e sociale italiano, attesa la precarietà attuale della sua situazione, secondo le stesse affermazioni del difensore.
L’appello deve perciò essere respinto.
La Corte ritiene di compensare tra le parti le spese processuali, essendo l’appello basato sulla richiesta di una rivisitazione delle dichiarazioni della parte e della situazione oggettiva del Paese di provenienza del ricorrente, suscettibile di diversa valutazione da parte del giudice dell’ appello, in questo peculiare tipo di procedimenti, anche alla luce della prospettazione di nuovi e sopravvenuti profili di analisi, in forza del potere istruttorio ufficioso vigente nella materia: “In tema di riconoscimento dello ‘status’ di rifugiato… i principi che regolano l’ onere della prova, incombente sul richiedente, devono essere interpretati secondo le norme di diritto comunitario contenute nella Direttiva 2004/83/CE, recepita con il dlgs n. 251 del 2007. Secondo il legislatore comunitario, l’ autorità amministrativa esaminante ed il giudice devono svolgere un ruolo attivo nell’ istruzione della domanda, disancorato dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario e libero da preclusioni o impedimenti processuali, oltre che fondato sulla possibilità di assumere informazioni ed acquisire tutta la documentazione necessaria. Pertanto, in considerazione del carattere incondizionato e della precisione del contenuto di queste disposizioni, ed in virtù del criterio dell’interpretazione conforme elaborato dalla giurisprudenza comunitaria, tali principi influenzano l’interpretazione di tutto il diritto nazionale anche se non di diretta derivazione comunitaria. Pertanto, seguendo il percorso ermeneutico indicato nella Direttiva… deve ravvisarsi un dovere di cooperazione del giudice nell’ accertamento dei fatti rilevanti ai fini del riconoscimento dello “status”di rifugiato e una maggiore ampiezza dei suoi poteri istruttori officiosi.” (Sez. U, Sentenza n. 27310 del 17/11/2008).

P.Q.M.

La Corte d’ Appello di Milano, definitivamente pronunciando, rigetta l’ appello proposto da S.XXXX A.XXXXXXX e conferma l’ ordinanza emessa dal Tribunale di Milano (Sezione Protezione Internazionale Civile), il 24.10.2017 nel procedimento N.R.G. xxxxx/2017, comunicata il 26.10.2017.
Così deciso in Camera di Consiglio il 19.07.2018
 

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