CivileDiritto di Famiglia

Il divorzio breve

In data 26 maggio 2015 entra in vigore un’altra importante riforma del diritto di famiglia, conosciuta come legge sul “divorzio breve”.

La nuova legge abbrevia i termini per poter ottenere lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio ed anticipa il momento in cui si scioglie il regime patrimoniale della comunione legale tra i coniugi.

La nuova legge si compone di soli tre articoli:

– L’art. 1, che modifica il secondo capoverso della lettera b) del numero 2) dell’art. 3 della legge sul divorzio, prevedendo i termini più brevi di dodici mesi e sei mesi per ottenere il divorzio e rimanendo fermo il principio per il quale la domanda di divorzio può essere proposta quando è stata pronunciata sentenza passata in giudicato di separazione (anche parziale), ovvero è stata omologata la separazione consensuale;
– L’art. 2, che modifica l’art. 191 c.c. anticipando il momento di scioglimento della comunione legale tra i coniugi;
– L’art. 3, che è norma transitoria e che prevede che le disposizioni di cui agli articoli 1 e 3 si applichino anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge.

L’ipotesi più frequente di divorzio, tra le plurime previste dall’art. 3 della legge n. 898/1970, è senza dubbio quella che si fonda sul periodo in cui si protrae lo stato di separazione, dapprima fissato in cinque anni (1970), poi in tre anni (riforma del 1987) sino all’abbreviazione dei termini prevista dalla mini riforma sul divorzio del 2015 che accorcia i termini a dodici mesi (in caso di separazione giudiziale) ed in sei mesi (in caso di separazione consensuale).

È rimasto immutato il dies a quo dei predetti termini, posto che il decorso del tempo, dodici mesi o sei mesi di ininterrotta separazione, si calcola sempre dall’avvenuta comparizione dei coniugi davanti al Presidente del Tribunale (eccezion fatta per l’ipotesi di negoziazione assistita o ricorso all’ufficiale di Stato civile).

Il termine di sei mesi è previsto non solo in caso di omologa della separazione consensuale ma anche in altre tre ulteriori ipotesi: 1) trasformazione del giudizio contenzioso di separazione in consensuale; 2) conclusione di un accordo di separazione personale all’esito di una negoziazione assistita (art. 6 del DL 132/2014); 3) conclusione di un accordo di separazione innanzi al Sindaco (art. 12 del DL 132/2014).

La domanda di divorzio può essere presentata da ciascuno dei coniugi dopo sei mesi di ininterrotta separazione: dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al Presidente del Tribunale, in caso di separazione consensuale o di separazione giudiziale trasformata; dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte; dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi al Sindaco.

Il termine di dodici mesi (di ininterrotta separazione) è previsto solo in caso di pronuncia di una sentenza passata in giudicato di separazione giudiziale fra i coniugi (anche parziale solo sullo status) e decorre dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al Presidente del Tribunale.

Sulla sopra evidenziata riforma si possono svolgere le seguenti considerazioni.

La nuova legge interviene solo sulle tempistiche ed è mirata ad accelerare i tempi processuali senza, però, preoccuparsi delle ricadute sugli aspetti sostanziali e processuali.

In particolare, la riduzione dei tempi processuali della separazione avrà ripercussioni significative sulla natura e sulla funzione dell’assegno di mantenimento del coniuge nella separazione, il quale ha presupposti e finalità diverse rispetto all’assegno divorzile.

L’assegno di separazione di cui all’art. 156 c.c., infatti, è posto in capo al coniuge economicamente più forte in favore di quello economicamente più debole, cui non sia addebitabile la separazione, il quale non abbia adeguati redditi propri e che solitamente è quello con il quale la prole rimane a vivere. Il riferimento alla mancanza degli adeguati redditi propri non va inteso come stato di bisogno, bensì come «difetto di redditi sufficienti ad assicurare al coniuge il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio» (cfr. Cass. civ. 03/1557; 01/3291; 98/3490); il tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio è, quindi, il paramento di riferimento per la determinazione del contributo al mantenimento in sede di separazione.

L’assegno divorzile di cui all’art. 5 legge divorzio, è stato qualificato dalla giurisprudenza come avente natura assistenziale, nel senso che la sua concessione trova il suo presupposto nell’impossibilità, per l’ex coniuge, di procurarsi da sé mezzi di sostentamento, tali da consentirgli di condurre un’esistenza libera e dignitosa (Cfr, ex multis, Cass. civ. 2955/98); il diritto all’assegno divorzile, per la prevalente dottrina, trova il suo fondamento nella solidarietà post coniugale, che rende, anche dopo lo scioglimento del vincolo matrimoniale, comunque doverosa l’assistenza alla persona con cui si era instaurata una comunione di vita materiale e spirituale.

Sotto il profilo processuale, potremmo assistere allo svolgimento di due processi paralleli: dopo l’emissione di una sentenza parziale di separazione, il giudizio di separazione proseguirebbe per l’accertamento dei presupposti dell’addebito e dell’assegno di mantenimento, mentre il giudizio di divorzio eventualmente introdotto accerterebbe i presupposti per l’assegno divorzile, con il rischio che le due sentenze giungano a risultati diversi e che vi siano giudicati potenzialmente configgenti tra loro. Vi è da dire, peraltro, che, pur avendo assegno di separazione e assegno divorzile presupposti diversi, nella prassi e nella logica attuale il primo, di fatto, è un presupposto o comunque un importante parametro per la determinazione del secondo (anche se non è detto che possa non sussistere l’uno senza l’altro).

Venendo alla questione relativa all’addebito, che rileva solo ed esclusivamente nell’ambito della separazione a norma dell’art. 151 c.c., vi è la sensazione che tale istituto, con l’entrata in vigore della nuova legge, subirà una forte compromissione, rendendo molto probabilmente inutile un’istruttoria sull’addebito stesso, nell’ipotesi in cui venga contemporaneamente introdotta una domanda di divorzio. In fondo, la “compressione” dei tempi della separazione rischia di rendere “obsoleti” l’assegno di separazione e l’addebito, finendo i due processi a sovrapporsi – come già anticipato – sul piano sia sostanziale che processuale.

Ciò a maggior ragione considerando che l’art. 3 della legge sul divorzio breve, norma transitoria, prevede che le nuove norme si applichino ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, anche nei casi in cui il procedimento di separazione che ne costituisce il presupposto risulti ancora pendente alla medesima data; il rischio di una paralisi del sistema, in un sistema della giustizia già oberato, è quantomeno un rischio da tenere in considerazione.

L’art. 2 della nuova legge, modificando l’art. 191 c.c., introduce un’altra importante e rilevante novità sulla base della quale nel caso di separazione personale, la comunione dei coniuge si scioglie nel momento in cui il Presidente del Tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al Presidente, purché omologato. In caso di negoziazione assistita, la comunione legale si scioglie alla data certificata nell’accordo di separazione (purché autorizzato dalla competente Procura della Repubblica, art. 6 DL 132/2014) mentre in caso di ricorso all’ufficiale di stato civile, lo scioglimento avviene alla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi al sindaco, purché confermato dai coniugi nel successivo incontro (art. 12 Dl 132/2014).

L’anticipazione del momento di scioglimento della comunione legale, pienamente condivisa, è un risultato di civiltà.
Fino ad oggi, la comunione legale tra i coniugi permaneva fino al decreto di omologa della separazione consensuale e fino al passaggio in giudicato della sentenza di separazione personale (anche parziale), con una disciplina ritenuta irragionevole in ragione del fatto che perpetuava una situazione in comunione del patrimonio del tutto in contrasto con la situazione fattuale di crisi della coppia.

In caso di riconciliazione dei coniugi, anche in caso di anticipazione del momento di scioglimento della comunione legale, basterà una dichiarazione delle parti all’ufficiale di stato civile a norma dell’art. 69 lettera f) del Dpr 396/2000, quindi sul punto eventuali critiche non assumono grande rilievo.

L’art. 2 della nuova legge prevede, altresì, che l’ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati sia comunicata all’ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione; analogamente, dovranno essere comunicati all’ufficiale dello stato civile il provvedimento di omologazione della separazione e l’accordo di separazione contenuto nella convenzione di negoziazione assistita o nel ricorso al Sindaco (art. 69 del Dpr 396/2000).

Desta, invero, qualche perplessità la decisione di differenziare i tempi per il divorzio (dodici mesi o sei mesi) a seconda che il procedimento di separazione sia contenzioso o consensuale; l’art. 3 della legge sul divorzio non ha mai operato tale distinzione prima della nuova legge e questa sorta di misura “premiale” per coloro i quali percorrono la via dell’accordo per giungere alla separazione fa sorgere quantomeno il dubbio di costituzionalità con riferimento, ad esempio, al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.

In conclusione, si ritiene che la nuova legge, finalizzata ad abbassare il contenzioso ed anche a tutelare, mediante l’accelerazione dei tempi per ottenere il divorzio, la costituzione di nuovi nuclei familiari, sia apprezzabile e meriti di essere accolta con favore.

Certo, l’Italia non si è parificata ad altri Paesi europei che prevedono la possibilità di ricorrere immediatamente al divorzio, senza passare per la separazione; la nuova legge avrebbe ben potuto compiere un passo ancora in avanti, lasciando ai coniugi la scelta di procedere con la separazione o di avviare direttamente il giudizio di divorzio.
Il nostro Paese non ha avuto il coraggio politico di compiere una scelta così avanzata, tanto che la norma sul divorzio immediato è stata stralciata dal disegno di legge poi definitivamente approvato.

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staff

Redazione interna sito web giuridica.net

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2 Commenti

  1. Scritto molto bene, molto chiaro e utile.
    Peccato il commento finale sulla civilt? di un paese tanto maggiore quanto consente facilmente di sciogliere famiglie per costituirne altre. Mha!…

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