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Carabiniere ucciso: la foto del sospettato e la sua diffusione possono minare il concetto di Stato di diritto?

Nella notte di giovedì scorso, il carabiniere Mario Cerciello Rega perdeva la vita dopo aver subito 11 coltellate inferte da Edgar Finnegan Lee, così come confessato dal giovane americano di 19 anni. Un rischio del mestiere, un delitto efferato.

Nei giorni successivi, il tam tam mediatico non si è risparmiato. In primo luogo si pensava che i due colpevoli fossero due nordafricani, poi si è parlato di americani, poi ci si è concentrati sulla dinamica dei fatti, poi c’è stato il caso dell’insegnante che aveva ingiuriato il carabiniere ucciso scrivendo sui social: «Uno di meno, e chiaramente con uno sguardo poco intelligente, non ne sentiremo la mancanza».

Il fatto che ha suscitato più scalpore, soprattutto sui social network, è stata la pubblicazione di una foto ritraente E. Lee durante il fermo in caserma, seduto, ammanettato allo schienale e con gli occhi coperti da una benda; fotografia che, senza dubbio, è stata scattata da uno dei pubblici ufficiali presenti.

È bene chiarire fin da subito che il documento in sé è una chiara violazione dell’art. 114 del Codice di procedura penale in tema di Divieto di pubblicazione di atti e di immagini, il quale riporta che: «È vietata la pubblicazione dell’immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta»; si specifica anche che, il comma in questione (6-bis) è stato aggiunto «dall’art. 14, comma 2, della l. 16 febbraio 1999, n. 479 al fine di tutelare la dignità della persona umana, tuttavia il divieto di pubblicazione non ricorre nel caso in cui l’immagine di una persona sottoposta a provvedimento coercitivo o solo a procedimento penale non la mostri in manette, ovvero sottoposta ad altro mezzo di coercizione, e viene meno se la persona ritratta nell’immagine pubblicata abbia acconsentito alla sua pubblicazione».

Nell’esatto momento in cui la foto è stata data in mano “all’Internet”, il pubblico si è diviso in due categorie: chi ha condannato la violazione di un diritto e chi, al contrario, ha sminuito l’evento; nel secondo gruppo sono da annoverare i contenuti pubblicati da Giorgia Meloni e dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, molto simili tra loro per significante e significato:

A chi si lamenta della bendatura di un arrestato, ricordo che l’unica vittima per cui piangere è un uomo, un figlio, un…

Gepostet von Matteo Salvini am Sonntag, 28. Juli 2019

A tutti quelli che ora si affannano a montare il caso del delinquente bendato in caserma vogliamo ricordare che la…

Gepostet von Giorgia Meloni am Sonntag, 28. Juli 2019

Niente da obiettare sulla distinzione tra vittima e carnefice, ma è proprio a partire da una tale minimizzazione che i due (e non solo loro) giocano lo stravolgimento del concetto di Stato di diritto. Basta leggere i commenti ai contenuti sopracitati per rendersi conto di come il colpevole di un delitto non venga più inteso come soggetto detentore dei diritti che, per sua stessa natura, lo Stato di diritto deve garantire – come anche evidenziato dall’art. 114 cpp. Cade così la definizione di giustizia come principio fondamentale dello Stato di diritto, in favore alla reintroduzione della vendetta assolutista e della pubblica gogna: il colpevole di un reato, seguendo questa linea, è un subumano meritevole della punizione invocata dal popolo sobillato e infervorato.

Forse queste sono conclusioni un po’ estreme, ma trovano pieno riscontro nelle parole di un ministro dell’Interno e di una parlamentare, coloro i quali dovrebbero essere garanti delle leggi i cui principi fondanti vengono demoliti da poche righe pubblicate su Facebook; un dettaglio che non fa altro se non aggiungere gravità al fatto in sé. Lo stesso premier Conte ha ritenuto «censurabile il comportamento di chi ha diffuso la foto».

Al di là di provocazioni facilone, considerazioni proto-assolutiste e via dicendo, l’unica utilità viene da un invito alla calma, alla riflessione e alla rilettura di queste parole: «Le leggi non vegliano sulla verità delle opinioni ma sulla sicurezza e l’integrità di ciascuno e dello Stato» (John Locke, Lettera sulla tolleranza, 1689).

Emanuele Seccogiuridica.net

Fonti
Brocardi.it
IlMessaggero.it
LaStampa.it

n.d.a. Come Giuridica.net, non abbiamo alcuna intenzione di diffondere la fotografia in oggetto. Il motivo è spiegato nell’articolo appena letto.

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emanuelesecco

Dottore in Editoria e Giornalismo. Appassionato di scrittura, editoria (elettronica e digitale), social media, musica, cinema e libri. Viaggio il più possibile, ma Budapest è sempre nel cuore.

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